Hai presente quando la giornata di lavoro è finita, ma devi ancora andare a prendere i figli a scuola, occuparti di un genitore anziano, fare la spesa, pulire casa, stendere la lavatrice…? Sì, hai presente. È ciò che negli anni 70 la sociologa Laura Balbo ha chiamato “doppia presenza”, riguarda molte donne ed è una faticaccia. Il lockdown ha peggiorato le cose.
Una volta, dopo il lavoro, mi è capitato di andare ad aiutare degli amici con un trasloco: il giorno dopo ero distrutta. Ricordo di aver detto ad una collega: “Mi sento come se avessi vissuto due giornate in una” e lei, ridendo, mi ha risposto: “Benvenuta nella vita di una mamma”.
Il termine doppia presenza indica proprio questo: il fatto che le donne sono spesso (sempre?) costrette a lavorare sia sul posto di lavoro “tradizionale” che a casa. Gli anglosassoni chiamano questo fenomeno “double shift”, doppio turno e i francesi “double journée”, doppia giornata, perché quando finisce la prima…inizia la seconda. Questo implica anche sviluppare una competenza e un modo di azione specifici, come scrive Donatella Barazzetti:
La categoria di «doppia presenza» rimandava alla capacità femminile di attraversare registri temporali e culturali profondamente diversi: il tempo interiore della soggettività, i tempi della cura e dell’affettività, il tempo del mercato; una capacità segnata da profonde contraddizioni, fortemente conflittuale, ma densa di potenzialità.
Un grande potenziale quindi, oltre che una grande fatica.
Tutto questo lavoro non retribuito e dedicato agli altri in più svolto dalle donne viene chiamato “lavoro di cura” ed è un peso ancora troppo poco condiviso all’interno delle coppie: secondo l’ISTAT le donne dedicano circa tre ore al giorno in più degli uomini al lavoro di cura e domestico e la differenza raggiunge le 4 ore e 12 minuti nelle coppie con figli (per non parlare del peso del carico emotivo e mentale, ne parleremo prossimamente).
Da anni si parla di conciliazione lavoro-famiglia, sia nelle politiche pubbliche che nel settore privato. La pandemia però sembra aver scombinato le carte in tavola. Cos’è cambiato?
E il lockdown?
La categoria di doppia presenza sembra oggi attraversare una crisi: è sempre più difficile infatti segnare un confine netto tra pubblico e privato e la pandemia ha accentuato il fenomeno. Ma anche le disuguaglianze. Per molte madri la DAD ha implicato un disimpegno sul posto di lavoro o l’accumulo di una “terza” presenza per seguire i propri figli (nel mondo anglosassone si parla di “double-double shift”). Ce lo racconta anche l’indagine IPSOS per WeWorld “Donne e cura in tempo di COVID-19”: “Il 60% delle donne italiane ha dovuto gestire da sola famiglia, figli e persone anziane, spesso insieme al lavoro: un carico pesante, che ha portato 1 donna su 2 in Italia a dover abbandonare piani e progetti a causa del Covid. […]Tra queste donne, le più in sofferenza sono quelle tra i 31 e 50 anni: in questa categoria il 71% dichiara di fare tutto da sola.”
Il lockdown ha comportato un obbligo di scelta tra lavoro e cura della famiglia e nel 15% dei casi le donne hanno deciso di sacrificare temporaneamente o definitivamente il proprio lavoro per favorire quello del marito, che spesso è il “breadwinner” della famiglia.
Nel report INAPP intitolato “Il post lockdown: i rischi della transizione in chiave di genere” si legge inoltre:
“Se si volesse definire con uno slogan la caratteristica del periodo che va dal 4 maggio in poi, in ottica di genere, potrebbe essere “men first”. Dopo il lockdown, infatti, a rientrare al lavoro fuori casa sono prima, ed in misura maggiore, gli uomini, sia nel caso del lavoro dipendente che del lavoro autonomo/indipendente.
Ancora: il rapporto annuale Svimez di quest’anno mostra come l’emergenza sanitaria abbia cancellato nel secondo trimestre 2020, a livello nazionale, quasi l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 ed il 2019 riportando il tasso d’occupazione delle donne a poco più di un punto sopra i livelli del 2008. L’impatto è ancora più forte nel Mezzogiorno, dove si è registrata una perdita di 171 mila unità, a fronte di un incremento di 89 mila unità tra il 2008 ed il 2019.
Insomma, l’equazione smart working uguale migliore conciliazione si è mostrata inesatta. La fluidità che sembra essersi creata tra spazio pubblico e privato sta diventando una nebulosa confusa in cui le donne vengono abbandonate a loro stesse e lasciate indietro nel nostro già ineguale mercato del lavoro.
E voi cosa ne pensate? Come la pandemia ha cambiato i vostri equilibri? Come possiamo pensare insieme ad altri modelli di conciliazione, per un futuro sostenibile?
Copyright: standsome-worklifestyle/unsplash